Il diario di Todra – giorno 28

Questa è concorrenza sleale.

Questo non-animale che si apre ed ha il basto interno di queste dimensioni, e che la mattina carica la soma di una qualche decina di pellegrini, fa concorrenza sleale alla mia categoria.

Dovrebbe essere vietato dall’ authority del Cammino e sicuramente, tornato a casa,  attraverso il mio sindacato AFAT (association française ânes transporteurs) presenteremo un reclamo alla Commissione Europea; non si può elevare il Cammino a Primo Itinerario Culturale Europeo e poi barare .

Si, perché cari amici, il Cammino è una cosa seria, non vale farsi portare le valigie (valigie, avete capito bene) da un albergo all’altro e farsi una passeggiatina fra due villaggi, farsi portare dal pullman turistici ai piedi del sentierino e ritrovarselo dall’altra parte per farsi scaricare davanti al ristorante. Dov’ è lo spirito del Cammino, le sue distanze infinite, la fatica fisica delle montagne sassose ed il senso di smarrimento davanti all’immensità della meseta dorata di grano ?

In cuor mio so benissimo che noi asini trasportatori siamo insostituibili; chi sceglie noi sceglie un viaggiare lento e meditativo, in accordo con i ritmi della natura, della pioggia, del sorgere e tramontare del sole, nel vero spirito del Cammino perché, anche se pochi lo capiscono, il senso del Cammino è camminare, non arrivare di corsa alla casa del signor Santiago.

Ed è per questo che protesteremo, questi non-animali fanno altri sentieri, puzzolenti e duri, non hanno niente a che vedere con noi, con il Cammino e con il suo spirito.

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Da Sahagun a León e oltre

Raggiunta la metà del percorso mica ci si può fermare!

Uscite da Sahagún abbiamo proseguito sul Camino Real. Calzada del Coto, Bercianos del Real Camino, Calzadilla de los Hermanillos per arrivare a El Burgo Ranero. Vista la giornata di pioggia, l’etimologia legata alla presenza di zone popolate da rane sembra assai probabile.

Un fatto simpatico: nell’hostal ci hanno assegnato una stanza da dove potevamo controllare Todra. Camera con vista sul ciuchino!

 

Venerdì Todra era un po’ capricciosa, o meglio sembrava che qualcuno le avesse detto che era in arrivo una carestia, perché tentava di mangiarsi tutto quello che le capitava a tiro lungo la strada. Ma comunque abbiamo fatto la tratta prevista:  Reliegos, poi Mansilla de las Mulas (sì, le cugine di Todra), Mansilla Mayor, Villamoros de Mansilla con arrivo a Puente Villarente.

A Mansilla abbiamo reincontrato Peggy e suo marito. Ogni volta mi fa venire in mente Achille e che fortuna sia poter invecchiare con una persona che nonostante gli anni passino, resti non solo un compagno ma anche un amico. Peggy ci ha definite “amazing women”, le ho risposto che anche lei lo è.

Ieri giornata impegnativa che vedeva l’attraversata di León, come al solito le grandi città implicano nervi saldi da parte di Francesca che deve districarsi assieme al nostro ciuchino tra traffico, pavimentazione sdrucciolevole e fan di Todra.

Ma prima di arrivarci abbiamo attraversato Arcahueja, Valdelafuente e seguito una deviazione che ci ha portate alte sulla città e poi giù verso il sobborgo di Puente del Castro. Non per la prima volta abbiamo notato dei grandi nidi sopra i campanili: sono le cicogne che di qui transitano.

León ci avrebbe fatto senz’altro un effetto diverso se avessimo avuto il tempo di percorrerla con calma. Abbiamo avuto almeno un assaggio del centro storico, con foto ricordo davanti alla Cattedrale, da dove per altro ci hanno cacciato, forse troppa gente si stava fermando a fotografare il nostro asinello superstar?

A proposito di animali, nonostante le apparenze, a quanto pare il nome della città non ha a che fare con il re della foresta, bensì deriva dalla parola “legio”. Sempre i soliti Romani!

Un attimo di tregua in un giardinetto periferico intanto che io mi bevevo un tè, peraltro offerto da un gentile signore, così non conserverò un ricordo troppo antipatico di León. Poi abbiamo proseguito in periferia fino a Virgen del Camino.

Stamattina le prospettive non erano delle migliori. Erano previste forti piogge e infatti il cielo era coperto di nuvoloni oscuri. Appena c’è stata una tregua siamo partite, ma la nostra attrezzatura è stata messa alla prova e abbiamo deciso di fermarci dopo una decina di chilometri, a Villadangos del Páramo (paramo definisce gli altipiani di questa zona). Abbiamo scelto di seguire il tracciato del Camino, anche se attualmente nelle guide viene consigliata l’alternativa, più lunga, che passa per la campagna. Effettivamente qui si costeggia la statale e Valverde de la Virgen e San Miguel del Camino non sembravano avere attrattive particolari.

Confidiamo nella clemenza del meteo per domani e intanto ci concediamo un po’ di riposo domenicale. Ci siamo anche imbattute nel vino del Camino. Quello francés, naturalmente.

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Il diario di Todra – giorno 24

Sahagun, metà geografica del Cammino.

Sono un Asino Attestato, ufficialmente.

E me lo sono guadagnato.

Dopo 25 chilometri di sassetti scivolosi è sempre un piacere per me rivedere questa città, perché significa che il mio lavoro procede bene, che sto portando le mie pellegrine a destinazione. La destinazione in questo caso è Il Santuario della Virgen Peregrina dove mi hanno rilasciato la mia personale Carta Peregrina, con benedizione ed incoraggiamento a proseguire con buon passo fino alla casa del Signor Santiago.

Ora, io non ho capito bene cosa faccia questo Signor Santiago di mestiere, ma so che son sempre tutti contenti quando arrivano lì e questo per me significa tre cose importanti: riposo, coccole e mele e quindi son felice di essere a metà strada per la meta.

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Pioggia

Ebbene, lo sapevamo che ci sarebbe stata ed infatti è arrivata.

Una pioggerella autunnale, non forte ma continua e sottile, ha cominciato a cadere stamattina poco dopo la nostra partenza e ci ha accompagnato per qualche ora.

Come ero vestita ? Mantello di lana casentino leggero foderato in misto lino, 3/4 di ruota lungo poco oltre il ginocchio, pellegrina di pelle foderata in lino, che scende oltre le spalle  e l’immancabile cappello di feltro da pellegrino. Il risultato è stato soddisfacente, siamo riuscite ad arrivare alla fine della nostra tappa praticamente  asciutte.                                                                                                          La parte dalle spalle al ginocchio completamente, la parte dal ginocchio in giù umida ma non fradicia; è risultato bagnato solo l’orlo del mantello e la parte inferiore del vestito di lana pesante.

La pellegrina ha fatto “effetto gronda” facendo scivolare via l’acqua dalle spalle, senza bagnare il mantello e questo ha provveduto a mantere  il calore corporeo; grazie al fatto di essere foderato crea un effetto anti dispersione per cui il lino trattiene il calore ed impedisce il passaggio all’ umidità raccolta dalla lana.

Il cappello di feltro, indossato sopra il cappuccio di pelle, ha assorbito la maggior parte dell’acqua e spero riesca ad asciugarsi per domani. È stato la scoperta più interessante della giornata; quando piove va indossato al contrario, la parte con la tesa messa davanti protegge il viso come un piccolo ombrello e la parte rialzata dietro fa scolare l’acqua direttamente sulle spalle della pellegrina.

Il confronto col moderno; il peso.

Tutta questa roba si appesantisce in maniera incredibile, rallentandone e impacciando inevitabilmente i passi ed i movimenti, soprattutto se si alza un po’ di vento. Gli indumenti tecnici moderni hanno ormai un peso irrisorio, togliersi di dosso tutti questi strati bagnati significa liberarsi di un bel po’ di chili.

Francesca

Anche gli indumenti che indossavo io hanno affrontato egregiamente la pioggia, di taglio similare a quelli di Francesca ma di materiale diverso. Il cappuccio è di loden, foderato dello stesso panno di lana in cui è fatto il mantello, a sua volta foderato di seta. Questa fodera, più leggera del lino, si è dimostrata ottima anche come barriera contro il vento.  Se non penetrava attraverso gli abiti, il vento però rallentava  la marcia facendo avvolgere la parte inferiore dell’abito attorno alle caviglie ostacolando notevolmente il passo.

Infine, io sto portando il cappello “alla rovescia” quasi fin dall’inizio, mi pare che protegga meglio un po’ da tutte le situazioni meteorologiche.

Marina

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Pellegrine certificate

Dopo una tappa breve ma a suo modo impegnativa, quella odierna ci ha portato al centro geografico del Camino di Santiago. Insomma siamo ormai nella seconda metà del nostro viaggio.

Martedì da Carrión de los Contes siamo arrivate a Calzadilla de la Cueza, tappa classica, 17 chilometri senza attraversare nessun paesino. Così come gli altri pellegrini, abbiamo mentalmente ringraziato per la presenza di un punto di ristoro a metà strada, tra l’altro con formaggio del contadino per farcire i bocadillos – i panini imbottiti giganti spagnoli – che ci siamo prese. Non a caso si chiama Oasi.

Qualche albero qua e là c’è, ma nella stagione calda qui il sole picchia implacabile e il paesaggio, che un suo fascino ce l’ha pure, prosegue uguale a sé stesso. Perfino il nostro asinello si è messo a sbadigliare.

A Calzadilla abbiamo reincontrato per l’ultima volta Jacques, il gentile pellegrino francese con nipote che vive nei pressi di Pavia, che ha deciso di sospendere qui per quest’anno il suo viaggio. Abbiamo anche conosciuto Samuele, giovane fiorentino trapiantato a Barcellona per una start up nel settore gelateria, a cui abbiamo fatto una capa tanta sulla rievocazione trecentesca e non.

Oggi invece abbiamo attraversato vari villaggi, che vantano, a volte già nel nome, legami con i Templari. Abbiamo anche lasciato la provincia di Palencia per entrare in quella di Leon.

Ledigos con la triplice raffigurazione di Santiago, Terradillos de los Templarios dove l’albergue porta il nome di Jacques de Molay, Moratinos con quella casa che si confonde con una collinetta – qui si utilizzava paglia mescolata con terriccio e pressata come materiale da costruzione per realizzare le abitazioni dette palomares – San Nicolas de Real Camino dove abbiamo trovato alberi fasciati da lavori a maglia.

Faticoso l’ultimo pezzo attraverso la periferia di Sahagún, a cui si accede passando prima dal santuario della Virgen del ponte, dove due statue contrapposte ricordano che si è arrivati al centro geografico del Camino e che qui arrivava l’influenza cluniacense.

L’albergue dove ci troviamo per la notte non a caso si chiama Cluny ed è ricavato nell’ex chiesa della Trinità, dove sono ospitate anche le informazioni turistiche. Prima di cena abbiamo fatto un breve giro per le chiese cittadine: da quel che resta di quello che era il complesso di San Facundo, da cui deriva il nome della città (si sa che in spagnolo spesso le F sono divenute H), a San Tirso e San Lorenzo, seguendo le nostre simpatie romaniche, fino al santuario della Virgen Peregrina, già convento di San Francesco d’Assisi – che a Sahagún c’è stato di persona, come pellegrino.

Ma quest’ultima chiesa è importante anche per un altro motivo: qui si rilascia la Carta Peregrina, che attesta che si è percorsa la prima metà del Camino francés. E siccome ci sentiamo un po’ come i tre moschettieri, abbiamo richiesto (e ottenuto!) il certificato anche per Todra. Ovviamente in latino, cita le parole de Liber peregrini che elogiavano l’antica città. Possiamo andarcene a dormire soddisfatte.

 

 

 

Meraviglie romaniche e non

Passo dopo passo ci avviciniamo alla metà del nostro percorso, mentre il vento continua ad accompagnarci dalla tarda mattinata.

Domenica prima sosta a Boadilla del Camino, piccolo paese ma con una graziosa chiesa dell’Assunzione di cui mi hanno colpito soprattutto i soffitti. A fare da contraltare profano, i murales del bar dove Francesca ha ordinato un sontuoso bocadillo per il nostro pranzo. Mentre ci aspettava, il nostro ciuchino si è addormentato sotto il sole, come svelato dallo zoccoletto posteriore vezzosamente alzato.

Abbiamo seguito il canale di Castiglia, realizzato nel XVIII sia per irrigare che per il trasporto dei cereali e per il funzionamento di mulini di vario tipo. Il gioco tra l’acqua, il blu del cielo e il biancore delle nubi dava a tratti l’idea di un fondale dipinto. Lungo questo canale i pellegrini a quanto pare possono pure muoversi in battello… Subito prima di entrare a Frómista il canale termina in una serie di chiuse e cascatelle.

Frómista ci ha regalato una splendida parentesi romanica con la chiesa di San Martino, iscritta nel Patrimonio UNESCO, un tempo parte di un complesso monasteriale fondato nell’XI secolo dalla regina Doña Mayor. Sopravvissuto a lunghi secoli e ad un restauro ottocentesco un po’ libero, è tutt’ora emozionante. In questi giorni ci stiamo muovendo tra luoghi che, come questo, fanno parte del percorso dei siti clunianensi.

Il cammino ora coincide per buona parte la strada carrozzabile, fortunatamente però spesso le corre accanto come percorso distinto.

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Arrivate a Población de Campos, prima di cena siamo ancora andate a vedere l’ermita della Virgen de Socorro, piccola chicca che non ti aspetti.

Per la notte avevamo prenotato all’albergue municipal, gestito dal vicino hotel dove abbiamo cenato. A coronare la bella giornata, la paella amorevolmente preparata dalla signora Carmen, condivisa con altri pellegrini, in parte già incontrati nei giorni precedenti, come è ormai consuetudine. Ci sono anche arrivati, portati da un pellegrino  di passaggio, i saluti di Pasquale, conosciuto il primo giorno a Honto, intento ora a fare l’hospitalero a Najera.

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Oggi abbiamo camminato per lunga tratta in un territorio monotamente uniforme, attraversando i paesini di Villovieco e Revenga e pregustando l’arrivo a Villálcazar de Sirga dove intendevamo visitare la chiesa della Virgen Blanca con le sue sepolture policrome, citata anche nelle Cantigas del re Alfonso el Sabio. Ahimé il lunedì il sito è chiuso! Ci siamo dovute accontentare del portale, peraltro splendido.

Tappa d’arrivo Carrión de los Condes (che prende nome dalla famiglia comitale dei Beni Gómez, che furono avversari del Cid). Sistemateci in una graziosissima Casa rural e riposateci un po’ abbiamo fatto un breve giro, chiesa di Santiago, belvedere di Belem, chiesa di Sant’Andrea, con l’intenzione di visitare il chiostro del monastero di San Zoilo prima di cenare nel ristorante ospitato nel complesso. Ancora una volta abbiamo dovuto constatare la chiusura del lunedì. Ci siamo consolate con le gioie della gola, gazpacho e poi formaggio di capra con composta di pomodori, davveri buoni. Il soffitto della sala aveva imponenti travi a vista  di legno antico, Achille le avrebbe certo apprezzate.

Il diario di Todra – giorno 20

Bisogna essere fiduciosi nel prossimo, questo è il senso del Cammino.

Oggi vi racconto un paio di belle cose; la prima è che, FINALMENTE, e fatemelo dire ad alta voce, un umano più intelligente degli altri ha capito che anche io sono in pellegrinaggio e mi ha regalato il mio personale simbolo, il Tau. Le mie due pellegrine stavano quasi tirando dritte davanti al banchetto del volontario, quando lui le ha richiamate a gran voce  “Por el burro !!! Es un regalo por el burro para me” e quindi adesso anche io sfoggio il mio personale ornamento sul basto.

Qui invece parliamo di mancanza di fiducia. Ora, quelle due hanno sempre in mano dei cosi con tanti fogli che consultano continuamente; invece di tenere il naso lì dentro, camminassero, che se si arrivava prima a San Nicolas c’era ancora posto.  Si, lo so che ad Ottobre ci sta scritto che è chiuso, ma mica sempre quello che è scritto è vero. San Nicolas, io lo so bene, è uno dei più spettacolari Ostelli di tutto il cammino; ha un bel prato dietro, riparato dal vento della meseta, ma soprattutto è gestito da gente simpatica ed accogliente, infatti appena arrivato sono tutti usciti fuori chi a farmi i grattini, chi a darmi pezzetti di pane e di mele. Non è che mi possa lamentare della sistemazione che ho avuto per la notte,Francesca mi ha trovato una grande siepe che mi riparasse dal vento e tutti i bimbi del paese sono venuti a farmi festa, ma San Nicolas resta sempre San Nicolas.

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In testa

Qui parliamo di cosa ci mettiamo in testa noi in questi giorni e soprattutto di quello che, da ora ancor di più, diventerà il mio grande amico: il velo.

Il velo che io indosso è un rettangolo di lino leggero, dimensioni 100 x 120 e non è grande, ci vuole tutto. È stato assolutamente indispensabile sul passo di Roncisvalle che, essendo alto, ha un sole micidiale come sempre in montagna. Anche nei giorni successivi tutto quello che non era coperto dal velo e dal soggolo è stato ben abbrustolito nonostante una crema a protezione 30. Passato qualche giorno, arrivati ad ottobre, è indispensabile la mattina presto per riparare il collo dall’umidità ed ancora più utile quando c’è vento. Il vento col sole alza una polvere fastidiosissima, che si infila dappertutto ed il vento freddo gela il collo e taglia il respiro.                   Ho purtroppo perduto in qualche punto del Cammino il rettangolo più piccolo che era il mio soggolo e spero di poterlo rimpiazzare; al momento la mattina, per proteggere la bocca dall’aria fredda incastro un angolo del velo nella cuffia di Santa Brigida.

La cuffia di Santa Brigida compone, assieme al cappello di feltro a tesa larga, la restante parte di quel che metto in testa. Anche la cuffia resta, secondo me un accessorio indispensabile per asciugare il sudore e raccogliere la polvere, infatti è uno dei capi che lavo quasi tutti i giorni, non riesce mai ad arrivare a sera ancora bianca.

Il terzo ed ultimo pezzo è il cappello di feltro, utilissimo per il sole ma non saprei dire se funziona con la pioggia e, sinceramente, spero di non scoprirlo.

Francesca

Anch’io come Francesca ho portato cuffia di Santa Brigida, velo (un rettangolo di seta) e cappello di feltro.

Concordo sull’utilità del velo per riparare sia dal sole che dal vento, nel mio caso anche il décolleté, in quanto i miei abiti sono più scollati di quelli che sta indossando Francesca.

Una nota sulla pettinatura. I miei capelli sono molto lunghi, oltre la vita. Per velocità finora mi facevo un’unica treccia morbida, che arrotolavo e accomodavo sotto la cuffia. Nel pomeriggio però mi sono generalmente ritrovata con i capelli “esplosi”, per la combinazione tra vento e frizione tra cuffia e cappello. Una situazione ben diversa del muoversi in un accampamento o comunque in uno spazio limitato.

Per i prossimi giorni mi acconcerò con due trecce ben strette e vedremo come andrà.

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Un Tau per Todra

Giornata contrassegnata da una salita ardita (13%) e una discesa anche di più (18%) e da un vento che ci ha scompigliato le gonne.

Luogo notevole della giornata le imponenti rovine del convento di San Anton, ovvero Sant’Antonio Abate, dove Todra ha ricevuto il suo primo regalo, la Tau simbolo degli Antoniani. Ci sembra giusto, visto che Sant’Antonio gli animali li protegge.

A Castrojerez siamo passate accanto alla chiesa di María del Manzano, ovvero del melo, e al di sotto del castello che dà il nome alla località. Per non affaticare il ciuchino non siamo salite in centro paese e abbiamo visto di lontano le doppie torri di San Juan.

Da queste parti c’è stato pure Ottaviano Augusto, nel 26 a.C., come ci ha raccontato un cartello presso il fiume Odra.

Poco fuori è iniziata la salita che ci ha portato rapidamente sui 1000 metri, abbiamo fatto la nostra sosta quotidiana dominando dall’alto il paesaggio. E prima di proseguire, ci siamo avvoltolate per bene nei nostri mantelli.

Ci sarebbe piaciuto fermarci nell’ermita di San Nicolas presso ponte Fitero, restaurato e gestito dalla Confraternita di San Jacopo di Perugia (❤ amici umbri), quella dove Francesca ha ritirato le nostre Credenziali.  Ma ci risultava aperto solo fino a settembre e quindi abbiamo prenotato più in là. E invece lo abbiamo trovato aperto, anche se già tutto esaurito. Accoglienza festosa e tante foto per il ciuchino.  Ci stiamo abituando, però il fatto che dei ragazzi ci abbiano detto che era da Saint-Pied-de-Port che aspettavano di incontrarci, ci fa un po’ sorridere. Due chiacchiere, qualche foto e siamo ripartite.

Meta finale per oggi, Itero de Vega. Superando il fiume Fitero, che un tempo separava i regni di Castiglia e Leon, siamo entrate nella provincia di Palencia. Todra ha diligentemente aspettato il verde per passare sul ponte.

 

 

 

Santa Marina e Santa Brigida

Non male fare colazione con un sottofondo musicale nel nostro piccolo albergue di Tardajos, una decina di posti in tutto, ma eravamo solo in tre, noi ed un pellegrino francese. Il nostro gentile hospitalero, un volontario di Cuenca, ci ha fatto sentire a casa. Nella saletta un lunghissimo disegno con le tappe del Camino fatto da un hospitalero che l’ha preceduto, ecco almeno la partenza e l’arrivo.

 

Oggi siamo ufficialmente nella Meseta, per diversi giorni ci muoveremo in queste distese sconfinate in cui di tanto in tanto compare all’improvviso un piccolo centro abitato.

A Rebé de las Calzadas (dove si incontravano più strade romane) abbiamo scoperto una chiesa di Santa Marina. Mentre Francesca abbeverava Todra mi sono lanciata in una serie di foto. Graziosa anche la cappella del cimitero.

 

Nella tratta verso Hornillos, oltre a tipologie consuete di pellegrini, anche una famigliola italiana, con il loro piccolino di otto mesi sulle spalle del papà, la mamma alla guida del passeggino, sono partiti da Pamplona, la tratta precedente effettivamente sarebbe stato troppo ardita.

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A Hornillos ci è capitato anche un pullman di svizzeri che oggi si sarebbero fatti una quindicina di chilometri, li abbiamo avuti dietro che chiacchieravano rumorosamente per un bel pezzo, non avevano la minima idea del perché continuassimo a dire “Buen Camino” ogni volta che qualcuno ci superava. Un po’ come il gruppo germanico di qualche giorno fa a San Juan de Ortega, con le loro enormi valigie, poi caricate in auto perché le potessero ritrovare alla fine della tappa quotidiana. Almeno questi ultimi, almeno in parte, il Camino l’avevano fatto in precedenza con lo zaino in spalla ed erano cordiali e interessati. Una signora mi aveva chiesto se riuscivamo a dormire anche in posti più comodi. Non ho avuto il coraggio di dirle che le serate più belle sono state quelle in cui abbiamo dormito su semplici materassi gettati a terra.

E poi chilometri e chilometri nel paesaggio dorato della Meseta, a cui per ora la luce dorata dell’autunno conferisce un certo fascino. E poi, quasi inaspettato, una discesa rivela un paese un attimo più grande.

 

 

Pensavamo di dormire all’albergue di San Juan Peregrino, ma alle porte del paese ci siamo imbattute in Santa Brigida. E come potrebbe mai una rievocatrice del milletréquasimillequattro resistere al richiamo di questo nome? Nemmeno se i miei capelli a una certa ora del pomeriggio sembrano animarsi e sotto la cuffia non ci vogliono più stare?

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E per di più hanno accolto festosamente Todra, riempiendoci di orgoglio perché hanno detto che è un ciuchino molto ben curato, non come altri che sono passati di là. Per cena ho scelto il tavolo comunitario senza neanche badare al menù, Francesca si è ritrovata un’enorme insalata al posto della zuppa, ma per piatto forte c’era un’enorme paella (nel senso del contenitore) di paella valenciana con pollo e peperoni. Tra i commensali, Peggy e suo marito, conosciuti a Zabaldika. Inutile dire che Todra è stato uno dei principali argomenti di conversazione.