La pellegrina propone, ma l’asino dispone

Due giornate alla fine delle quali il nostro ciuchino è più stanco di noi e al momento se ne sta, un po’ accosciato un po’ in piedi, a riprendere fiato nel campo accanto all’albergue municipal di Azofra, come lui stesso ci racconta.

Ieri mattina avevamo fatto tappa a Navarrete, località nota per la produzione di terracotta, tanto che nella piazza centrale, accanto alla chiesa, si può vedere il monumento al vasaio.

Un tempo in questa località si trovava anche l’ospizio di San Giovanni d’Acri, dove oggi c’è il cimitero con il suo bel portale d’ingresso.

Abbiamo poi raggiunto Ventosa (il nome probabilmente è proprio dovuto al fatto che il vento vi si faccia spesso sentire, così abbiamo avuto anche noi il nostro Mont Venteux) nel primissimo pomeriggio, e prima di cena abbiamo fatto due passi per vedere almeno la principale attrazione, la chiesa di San Saturnino, che dà il nome anche all’albergue in cui abbiamo pernottato. A me è venuto in mente il Saturnino Farandola di Mariano Rigillo, ricordo d’infanzia. La chiesa era chiusa e non abbiamo potuto vederne l’interno, anche se il parroco, molto tecnologico, sarebbe stato contattabile in vari modi, compreso facebook. Ci siamo accontentate di far spaziare lo sguardo sul panorama che si stendeva tutt’attorno.

Stamattina siamo partite baldanzose con l’idea di fare parecchi chilometri, ma Todra si è avviato al rallentatore. Il primo centro sul nostro programma era Najera, nome che rieccheggia il suo passato arabo (nahr, fiume), e che dopo la reconquista era divenuto tappa del Camino, che un tempo passava più a nord.  Mentre Francesca attendeva con Todra, io ho fatto una scappata al complesso del convento di Santa Maria La Real, creato secondo la tradizione là dove re García Sanchez III durante una battuta di caccia aveva rinvenuto una statuetta mariana.

Sulla strada mi ha colpito un murale dedicato proprio a quell’episodio.Giusto il tempo di dare un’occhiata al bel chiostro, che lo scorso anno ha festeggiato i 500 anni, e sono tornata dai miei compagni d’avventura.

Abbiamo proseguito fino ad Azofra, con l’intenzione di spingerci poi fino a Cirueña, ma la pausa concessa al nostro asinello non è stata abbastanza ristoratrice. Nel frattempo si era fatto tardi e in fondo non dispiaceva nemmeno a noi trattenerci, soprattutto dopo aver visto altre “colleghe pellegrine” con i piedi a mollo nell’invitante piscinetta dell’albergue.

E quindi della “Virgin de Guadalupe” ci accontentiamo della pubblicità scorta stamattina appena partite da Ventosa.

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Il diario di Todra – giorno 12

Io oggi mi voglio scusare perché, nonostante la mia buona volontà, non ce l’ho proprio fatta a fare più di 22  chilometri. Lo so che per un asino dei Pirenei della mia età non sono molti, ma ho avuto una nottata terribile, lasciate che vi racconti.

Ieri sera sono stato sistemato in un recinto già abitato da altre bestie. Le immancabili galline, un gatto ed un paio di capre; all’inizio sembravano decisamente amichevoli ma a notte fonda, proprio quando è giusto che un onesto lavoratore si goda il suo meritato riposo queste ultime hanno cominciato ad importunarmi.

Scusa, ma tu che fai?…Dormi qui?…Ma perché?…E quanto ti fermi … Sai questa è casa nostra …Ma chi ti ha invitato? …

Ed io giù a spiegargli che sono un asino pellegrino, che il mio lavoro è accompagnare  i pellegrini a Santiago, che non ero assolutamente interessato al loro recinto e che sicuramente la mattina dopo me ne sarei andato, appena possibile aggiungerei.

Insomma, tutta la notte avanti indietro con questa sciocca tiritera, perché le capre sono un po’ stupide, non si ricordano mica nulla e dopo venti minuti erano di nuovo lì con le stesse domande ad impedirmi di dormire.

E quindi stamattina ero distrutto, mi son trascinato sui sentieri ed alla seconda cittadina ero così stanco che mi sono buttato a terra. Per fortuna le mie due pellegrine sono state comprensive e ci siamo fermati prima. Adesso sono nel prato dietro l’ albergue a cercare di riprendere le forze. Spero domani di essere tornato lo splendore di asino che sono di solito. Buonanotte a tutti.

Le scarpe per il Camino

Volevo con questo cominciare a scrivere alcune considerazioni sui materiali usati in questa nostra avventura. Ovviamente comincerò dalla cosa che ci ha posto più domande: le scarpe.

Cominciamo dal terreno; si tratta per la maggior parte di “strade bianche” che corrono in mezzo ai campi, segue poi il pietrisco di vario tipo, il terreno morbido e/o erboso ed asfalto/marciapiede nelle città. Le inclinazioni variano molto, anche con salite ripidi e brevi, veri e propri strappi di 50/100 metri sassosi che spesso si riaprono su discese altrettanto impegnative. La distanza che percorriamo abitualmente è di 20/25 chilometri al giorno, con punta massima di 30 per un tempo variabile dalle 6 alle 9 ore; certe tappe come il passo di Roncisvalle sono obbligate e sono di 26 chilometri, con un dislivello dai 190 metri di Saint-Jean-Pied-Port ai 1430 di Col de Lepoeder e quindi ai 952 dell’abbazia di Roncisvalle.

Personalmente sono partita con 3 paia di scarpe, una alta ed una bassa da donna con soletta interna ed una alta senza soletta. Tutte e tre hanno un sottile strato di gomma sotto la suola. Quelle con soletta funzionano per me decisamente meglio, attutiscono soprattutto la sensazione dei sassi, grandi e piccoli sotto la pianta che, dopo qualche ora, diventa decisamente fastidiosa. Sostengono fra l’altro decisamente meglio la caviglia permettendo al piede di non scivolare e mettersi con inclinazioni sbagliate; credo che comunque questa differenza sia dovuta soprattutto alla conformazione del mio piede, cresciuto con scarpe moderne che hanno sempre un minimo di sostegno sotto l’arco plantare. Ho trovato, e non credevo, molte strade percorribili tranquillamente con scarpe basse. Questa cosa mi ha fatto molto comodo perché aiuta il piede a non surriscaldarsi troppo, visto le tante ore di cammino.

Ho finalmente capito la numerosa presenza di ciabattini e calzolai nelle città medievali; dopo solo dodici giorni di marcia sono già piene di graffi e tagli superficiali ed una in particolare ha un taglio profondo nel tallone, dovuto ad un vertiginoso sentiero prima di  Zubiri, tre chilometri di scisto tagliente che ho corso davanti all’asino. Vista quindi l’usura dubito di poter considerare di arrivarci alla fine del viaggio. Ovviamente abbisognano della solita manutenzione, ingrassatura e messa in forma ogni giorno, se non mattina e sera. Tutto il percorso è polveroso e dopo un paio di ore sono già completamente bianche.

Per fare un paragone con le calzature moderne che tutti conosciamo posso dire che, per me, quelle senza soletta interna sono paragonabili ad un paio di All Star, sotto la pianta senti tutto il terreno, quelle basse con un paio di scarpe da jogging cittadino di media qualità, cito il Decathlon per chiarezza, e quelle alte con soletta ad un paio di pedule da montagna vecchio stile; ovviamente niente a che vedere con scarponi tecnici moderni soprattutto per il grip sul terreno,  il sostegno e le suole tipo vibram e con la parte interna con il gel ammortizzante.

Comunque, vedendo alla fine di ogni giornata la sutuazione dei nostri piedi rispetto a quelle dei nostri compagni pellegrini, abbiamo decisamente meno cerotti.

Francesca

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Aggiungo qualche considerazione all’approfondita analisi di Francesca. Io porto con me due paia di scarpe basse, entrambe realizzate a suo tempo da Achille, una con la striscia di cuoio che protegge la cucitura e l’altra senza. Ad entrambe è stata applicata una suola di para. Il primo paio, che ho utilizzato in passato per altre marce, per un totale di crca 150 km, dopo 11 giorni di Camino mostra evidenti segni di usura, la scarpa sinistra in particolare è scucita sul tallone e non credo potrò utilizzarla per molti altri giorni ancora. Un particolare che avevo già trovato utile e che si è dimostrato tale anche ora: utilizzo lacci molto lunghi, che porto girati due volte attorno alla caviglia e allacciati senza comprimere eccessivamente. In tal modo la scarpa è ben fissa sul piede e mi ha permesso finora di affrontare i diversi tipi di tracciato.

Anche i miei piedi, trattati mattina e sera con un unguento molto grasso contenente calendula e arnica, stanno piuttosto bene, non ho vesciche, più che altro dolgono i talloni, ma è da tempo il mio punto debole.

Marina

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E cammina cammina

Una giornata lunga lunghissima, iniziata sotto un cielo cupo sui saliscendi della porzione di Camino che da Torres del Río scende verso Viana, proseguita facendo l’ingresso nella Comunidad de La Rioja e attraversando nel caldo pomeriggio Logroño, con destinazione il centro ippico dove Todra sarà ospitata questa notte, e terminata nell’ appartamentino di Lardero dove entrambe abbiamo avuto lo stesso pensiero: “io stanotte dormo sul divano, il letto è troppo distante”.

Oggi siamo state poco turistiche, alle chiese siamo solo passate davanti, benché a Viana ci sarebbe stato da cercare il monumento sepolcrale di Cesare Borgia e la chiesa di San Pedro, ora in rovina, avrebbe meritato anch’essa un’occhiata.

A Logroño ci siamo limitate alla foto ricordo di Todra davanti a Santa María del Palacio.

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Ci sono piaciuti di più i segni lasciati dal passaggio di altre persone:

 

Il diario di Todra – giorno 10

Oggi è stata una giornata impegnativa ma bella. Stamattina abbiamo cominciato abbastanza presto, ma con una ottima colazione e poi ci siamo incamminati di buon passo per dei bellissimi sentieri, qualcuno un po’ in salita, qualcuno un po’ in discesa ma con un buon fondo di terra. Ovviamente siamo arrivati anche in città dove io pattino ( a proposito ma qualcuno mi sa dire perché andiamo sempre città? E perchè mi mettono in posa davanti a dei vecchi edifici molto grandi per farmi le foto ?) ma ho scoperto con piacere che gli umani cittadini stanno costruendo sentieri per me; passano in mezzo ai parchi ed ai lati delle strade, mi aiutano ad attraversare gli incroci perchè hanno dei passaggi apposta con le luci colorate; le usano molto anche quegli strani animali metà uomo e metà non-so-ancora-cosa ed oggi per la prima volta ho visto anche i loro cuccioli. Mi sembrano simpatici e condivido volentieri il mio sentiero di città con loro. Comunque tutta la fatica di oggi è stata ripagata all’arrivo. Un posto assolutamente MERAVIGLIOSO; intanto per cominciare ci sono i miei cugini maggiori, i cavalli ed io dormo proprio accanto a loro, in una stanza tutta per me con un fondo morbido di paglia, mi hanno subito fatto portare una bracciata di fieno profumato come benvenuto e so già mi aspetterà una notte paradisiaca.

Splendore romanico

Oggi siamo partite sotto un cielo oscurato da nuvole che sembravano promettere pioggia, ma un vento forte le ha sempre respinte alle nostre spalle. La strada è stata quasi sempre agevole, perfino ampia, e Todra ci ha seguito senza cedere troppo alle tentazioni delle sue erbe preferite.

Abbiamo fatto tappa  a Los Arcos, centro di origine romana,  che sulle prime ci ha fatto l’impressione di un villaggio disabitato, abbiamo dovuto raggiungere la piazza su cui affaccia la chiesa parrocchiale, ancora una volta un misto di stili ed epoche, per vedere un po’ di movimento.

Dal centro siamo uscite attraversando la Puerta de Castiglia e lasciata la cittadina abbiamo attraversato campi fino a raggiungere Sansol e la vicina Torres del Rìo, meta della nostra camminata odierna, due paesi che si fronteggiano su piccole alture.

Lasciata Todra in un campicello stavolta meno appetitoso del solito e dopo aver riprese le forze abbiamo visitato la chiesa del Santo Sepolcro, risalente al XII secolo, che riprende nelle forme ottagonali quella di Eunate vista pochi giorni fa, e come quella attribuita senza prove certe ai Templari e con probabili funzioni sepolcrali.

Un luogo che ci ha ripagato della fatica della camminata e che una volta di più ci ha donato la suggestione della luce del meriggio filtrata da una sottile lastra di alabastro. Splendida la volta arabeggiante, i capitelli tutti differenti, il nome di San Giacomo ripetuto in alto. Notevole anche il crocefisso, ovviamente con i due piedi ancora accostati.

Oggi abbiamo incontrato soprattutto brasiliani e italiani, di qusti un terzetto che si è fermato nel nostro stessi albergue e che vi ha detto di aver visto le nostre foto sulla pagina di un ostello di Saint-Jean-Pied-de-Port. Il nostro ciuchino sta diventando un vip.

Siamo pronte per la nostra ultima notte in Navarra.

Il diario di Todra – giorno 9

Cari amici ed amiche buonasera.

È qualche giorno che non ci sentiamo, semplicemente perché il nostro viaggio procede tranquillo e senza imprevisti, però un paio di cose ve le voglio raccontare.

La prima è che io e gli umani vediamo i colori in modo differente e questo è un problema. Io credevo che le parole “erba verde” indicassero la mia cena, una erbetta tenera e succulenta (ed è quello che le mie pellegrine chiedono in quella scatoletta in cui parlano ) ma ogni tanto mi trovo davanti delle cose secche e striminzite, dure poco saporite, piantate in dei poggi sassosi e aridi.Cari amici avete dei suggerimenti ?La cena è un pasto importante anche se, a dire il vero, ogni giorno, verso metà del cammino vengo scaricato dalla mia soma e riesco sempre a fare un ottimo pranzetto.

La seconda cosa che vi voglio raccontare è la presenza di uno strano animale, metà di carne e metà di metallo. La parte superiore ha una forma vagamente umana, solo la testa è di un materiale differente, non è infatti dotata di capelli ma ha una strana superficie spesso lucida. Ma la parte inferiore è la cosa più curiosa; è composta da due parti tonde che ruotano vorticosamente ed una parte centrale, credo di carne, che si agita in maniera forsennata. Ogni tanto si ferma e allora si divide in due.  Credo che riparleremo di questo strano essere di cui non so neppure il nome.

Di chiostri e capitelli

La seconda settimana è iniziata attraversando una serie di cittadine incantevoli, ancora in Navarra.

Ed è iniziata presto. Le nostre compagne di camera si sono svegliate alle cinque e per quanto abbiano cercato di fare piano alla fine abbiamo deciso di alzarsi anche noi.

Siamo partite di buon passo nell’aria ancora frizzantina, con Francesca che cercava di infondere ritmo ai due asini della situazione (ho la pressione bassa…) e così abbiamo raggiunto rapidamente Villatuerta.

Tappa successiva Estella Lizarra, dove ci hanno redarguito perché Todra si è mangiata le erbacce vicino alla chiesa e che soprattutto ci ha rapito per il chiostro della chirsa di San Pedro della rúa, conservatosi solo a metà, ma che metà!

Nella mia proverbiale distrazione ho dimenticato i bastoni (prezioso prestito di Tomasz) e sono dovuta tornare a prenderli, un chilometro di marcia in più ricompensato dal lato più bello della porta di San Nicola.

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Intanto Francesca ha proseguito aspettandomi ad Irache, dove anche noi da brave pellegrine-turiste abbiamo fatto la foto di rito alla fonte del vino (io sono quella dietro l’obiettivo) .

Il Camino ci ha portato serpeggiando fin su a Villamayor de Monjardín, alle cui porte sta la particolare fuente de los Moros, che mi ha fatto pensare alla Fontebranda di Siena, e dove abbiamo trovato posto in un albergue con un ragazzo che parla un discreto italiano, imparato a Firenze. Sistemata Todra e riposateci un po’ siamo andate a vedere la chiesa parocchiale di San Andrés, dove il nucleo romanico si fonde con aggiunte di molto posteriori. Da queste parti continuiamo a ritrovare l’arenaria – mi sento a casa! – e in questo caso ci ha colpito anche l’alabastro che chiude le finestre, donando una calda tonalità particolare alla luce che da esse filtra.

Ci siamo gustate il menù del pellegrino nell’unico bar (credo) del posto, abbiamo fatto quattro chiacchiere ad alto contenuto medievale con altri pellegrini italiani, tra cui la ragazza toscana conosciuta ieri e ora stiamo aspettando di prendere sonno ai piedi del complesso castellano di Monjardín, prima di affrontare la nostra ultima giornata in Navarra.

Dove confluiscono i cammini

Oggi Todra ha cominciato la giornata tentando di portarsi via una panchina. D’altra parte come resistere a un appetitoso ciuffo d’erba oltre la portata della corda?

Recuperato il nostro ciuchino, ci siamo spostate sul Camino aragonés – quello che arriva da Arles, quindi anche dall’Italia, e varca i Pirenei più a sud, al passo del Somport –  per andare a vedere, almeno dal di fuori, l’Ermita de Santa Maria de Eunate, misteriosa chiesa ottagonale che si fa risalire al 1170, ed è quindi una coetanea della “nostra” chiesina di San Giovanni in Villa a Bolzano.

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Ripreso il percorso e superata Obanos, siamo arrivate a Puente de la Reina, dove confluiscono tutti i cammini che vengono dalla Francia.

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La città prende appunto per il suo ponte risalente all’XI secolo. Non è certo quale fu la regina che fece costruire il passaggio per agevolare il passaggio ai pellegrini che dovevano varcare il fiume Arga, se doña Mayor de Cadtilla o doña Estafania.

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Un tempo il ponte era dotato anche di di tre torri difensive oggi  scomparse. Ancora avanti verso Ciraqui, paesino arroccato sulla montagna, il cui nome significherebbe ” nido di serpenti”.

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Abbiamo varcato un ponte romano

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e più avanti quello sul rio Salado, le cui acque secondo il codex Calixtinus uccidevano i cavalli e attraversato i primi vigneti.

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E poi, meraviglia delle meraviglie, abbiamo trovato un punto di book crossing nel nulla, accanto all’indicazione “Santiago 676 km”.

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E finalmente abbiamo raggiunto Lorca dove passeremo la notte, dopo aver camminato per 25 chilometri, la media che ci piacerebbe tenere d’ora in poi.

A cena abbiamo ceduto alla gola: anziché il menù del pellegrino, stavolta piuttosto noioso, un assaggio di gazpacho condiviso, una fettina di tortilla di patate, una txistorra (continuavamo a leggere questo nome, eravamo troppo curiose, è un salume piccante) e una paella. Siamo ancora nella zona in cui gli assaggini si chiamano pintxos e non tapas e il pensiero è andato alla scena del film “Il cammino di Santiago” in cui discutono sulla definizione.

Donde se cruza el camino del viento con el de las estrellas

Oggi siamo partite sotto un cielo di un azzurro che più intenso non si può, in una giornata calda come ci si aspetterebbe nel cuore dell’estate piuttosto che al principio dell’autunno.20180923_093609

L’obiettivo di oggi era superare il crinale del rio Arga per scendere poi in direzione di Puente de La Reina, che raggiungeremo domani.

Ma prima ancora dovevamo ritornare sul tracciato del Camino, da cui ci eravamo scostate per arrivare all’alberghetto, e soprattutto trovare un posto per fare colazione e prendere qualcosa per la giornata. Abbiamo trovato un signore gentilissimo che non solo ci ha spiegato la direzione da prendere, ma ci ha anche accompagnato.

Todra era di umore domenicale, per cui sulla salita se l’è presa comoda, assaggiando praticamente tutte le specie vegetali che incontrava sul percorso. Tra i pellegrini che ci hanno superato, anche Rosmarie e Felix, i signori svizzeri conosciuti la prima sera.

Francesca intanto che ci aspettava ha potuto guardarsi per bene la chiesa di Zaruquiegui. E ripartendo da là, Todra, dopo la solita razione di foto, non si è mosso fino a quando non è riuscito a farsi dare un pezzetto del panino che un signore stava mangiando.

Salendo all’Alto del Pardon eravamo sovrastati dalle grandi pale eoliche che costellano la dorsale fornendo energia al bacino di Pamplona.  Arrivando in cima, abbiamo raggiunto uno dei luoghi più fotografati del Camino: le statue metalliche realizzate nel 1996 da Vincente Galbete per l’associazione degli amici di Santiago della Navarra.

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Per la discesa ho passato la mano a Francesca, in parte abbiamo deviato per il percorso seguito dai ciclisti, un po’ meno impegnativo, e sempre accompagnate dal sole ardente siamo arrivate a Muruzabal, la nostra destinazione odierna. L’albergue è situato in una grande casa privata, il proprietario adora gli asini e ci ha fatto vedere una foto di lui bambino con i nonni ed un asino dei Pirenei, praticamente un cugino di Todra, che nel frattempo è diventato l’attrazione domenicale per i bambini del paesino.

Mentre noi ce ne siamo andate a fare la doccia, il nostro ciuchino si è rotolato beato sulla terra del cortile, che ho imparato essere il suo modo di togliersi il sudore e forse un po’ di fatica di dosso. La prima volta mi ero quasi spaventata, da bravo topolino di città.

Fermarci in queste piccole strutture ha anche il vantaggio che nella zuppa ci finiscono i prodotti dell’orto e come fine pasto abbiamo avuto le mandorle dell’albero di casa.

Francesca ha espresso l’augurio che Achille ci procuri un po’ di cielo coperto per domani e il nostro ospite interrogato poi sulle previsioni meteo ha detto che è atteso un abbassamento delle temperature. Mi dà da pensare questo filo diretto meteorologico tra quei due, c’era stato un precedente sulla Francigena. Per il momento si è levato il vento, e per noi è ora di dormire.