El sello del corazon

Ieri, la nostra seconda domenica sul Camino,  è stata una giornata magnifica. Dopo un sonno ristoratore, anche Todra era di nuovo in forze ed ha ripreso il ritmo. La nostra prima meta era Santo Domingo de la Calzada, la località che prende il nome dall’eremita, vissuto nell’XI secolo, che risistemò la strada tra Najera e Redecilla (calzada significa appunto strada), costruì il ponte sul fiume Oja e con l’appoggio del suo re edificò un ospizio per i pellegrini e una chiesa, attirno a cui si sviluppò in seguito il borgo.

Ma già lungo la via, la prima cosa notevole: in uno di quei piccoli punti di ristoro sulla strada, il ragazzo che se ne occupa aspettava il nostro passaggio, sua madre gli aveva raccontato dell’asinello che viaggia con le due pellegrine e ci ha accolte con gioia. Todra ha ricevuto una mela e tante carezze, per non parlare delle foto.

Per strada abbiamo incontrato altri italiani, come il signore di Sassuolo con cui abbiamo chiacchierato per un po’ e che ci ha preannunciato l’incontro con Aldo, che è partito da Cuneo, ha chiuso la porta e via. Aveva già fatto il Cammino del Norte e quello portoghese, ma è questo è quello dove la gente è più calorosa ed accogliente.

A Santo Domingo la sosta è stata lunga, Todra se ne è stato a brucare beato l’erba in un angoletto verde con la benedizione della Policia Municipal mentre io e Francesca a turno abbiamo visitato la cattedrale. Molte cose notevoli, tra cui la tomba di Domenico, canonizzato poco dopo la morte.

 

Famoso e curioso il gallinero gotico. Sì, proprio un pollaio, dove da secoli stanno una gallina ed un gallo rigorosamente bianchi, che ricordano il miracolo di santo Domingo. Hugonell, giovane pellegrino tedesco diretto con i genitori a Santiago, era stato impiccato pet un furto di cui era stato ingiustamente accusato da una giovane da cui non si era lasciato sedurre. I genitori disperati avevano proseguito il pellegrinaggio ed era apparso loro San Giacomo che li aveva confortati: il figlio era ancora vivo, Domenico lo stava sostenendo sulle sue spalle. Erano così corsi dal giudice che aveva emesso la condanna e che si trovava a tavola. Sarcastico aveva loro replicato che il ragszzo era vivo come i polli che stava mangiando: non si era spenta l’eco dell’ ultima parola che già i volatili si alzavano in volo. Questa stessa scena si può vedere anche da noi a Termeno, nella chiesa di San Giacomo di Castellaz!

 

La bella sosta era però stata guastata dalla perdita del borsellino di Francesca, caduto innavvertitamente.

Ma come era successo qualche  giorno prima con i miei occhiali, non si perde ciò che non vuol esser perso. Quasi giunte alle porte di Grañon, la nostra meta per la notte, un ragazzo gentile ci ha offerto da bere. Io l’ho ringraziato e sino andata avanti e subito sono stata richiamata dalle urla di gioia di Francesca che aveva recuperato il borsellino, prezioso in quanto regalo.

Siamo state calorosamente accolte alla casa del pellegrino San Juan Bautista di Grañon, dove a quanto pare eravamo attese. Che bella sensazione. Abbiamo conosciuto gente nuova, come gli italiani Carlo e Stefano, il simpaticissimo Juan che fra un po’ se ne andrà in Italia, abbiamo ritrovato Gina della Nuova Zelanda e tanti altri, da tanti paesi diversi, tra di loro anche Alan, il ragazzo irlandese che aveva ritrovato il nostro oggetto perduto. In questi luoghi si dorme su semplici materassi (noi comunque abbiamo portato con noi una coperta e il sacco che usiamo nelle rievocazioni), si cucina e si mangia tutti insieme. E quindi Francesca ha preso il comando e abbiamo messo insieme “casa Italia”, noi a fornelli e tutti ad aiutare, mentre Juan si occupava di preparare una specie di pizza. Bella cena, tante chiacchiere, la condivisione di pensieri ognuno nella sua lingua, un pizzico di religione perché eravamo pur sempre in un ospizio, ma senza farlo pesare.

Qui non c’è il solito timbro per la Credential: qui il sigillo va posto direttamente sul cuore, prima di andare a dormire ci siamo abbracciati tutti, augurandoci non “Buen camino” come si fa oggi, bensì Ultreya e Suseya, più avanti e più in alto come si salutavano gli antichi pellegrini.

 

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